domenica 9 giugno 2013

Il declino demografico


Scrivevo in "Se svampato il Giappone" che "Il Giappone, come tutte le società dell'occidente (inteso in senso largo), sta diventando un paese per vecchi. In un paese di vecchi non c'è crescita, agli anziani non interessa più il consumismo, non spingono più i consumi di beni come auto, case, elettrodomestici ecc. tipici dell'età produttiva. Aumentano i consumi di servizi sanitari e assistenziali, che sono molto spesso spese di welfare. Quindi diventa difficile creare la crescita, ma ancora di più per via indiretta, gettando un fiume di denaro nell'economia finanziaria, sperando che qualcosa entri nel circolo economico tradizionale."

Riprendevo in effetti il ragionamento di Fannyking (Rischio Calcolato) che condivido in pieno. Che ritorna sul  tema scrivendo:

"Al di la di considerazioni sulle misure di stimolo monetario e dell’intervento pubblico in economia, esiste una ragione che rende semplicemente impossibile una vera ripresa duratura del PIL giapponese, la curva demografica e la popolazione.

Il Giappone è vecchio, tremendamente vecchio. Le donne giapponesi da anni hanno un tasso di fertilità troppo basso e insostenibile. Nel 2012 per il sesto anno consecutivo la popolazione del Giappone è diminuita.

...
Nel 2012 in Giappone sono nati 1.037.101 bambini e sono morti 1.256.254 uomini e donne. L’aumento dell’età media fa si che ancora di più siano i giapponesi che nel 2012 sono diventati inattivi dal punto di vista lavorativo."

(vedi grafico ad inizio post)

"In un paese “sano” dovremmo vedere una piramide, qui invece vediamo un popolo di vecchietti.

A meno che il Giappone non pensi ad una società completamente robotizzata oppure a mandare gli ultra sessantenni in fabbrica."



Molto interessante è il commento di G. S. Mela all'articolo:

"Caro FK,
Complimenti!
A mio sommesso parere, hai focalizzato uno dei principali problemi che affliggono quelli che un tempo erano i paesi più industrializzati del mondo: quello demografico, caratterizzato da un'elevata denatalità.
Non esiste crescita economica senza una corrispondente crescita demografica: lo squilibrio tra le fasce d'età semplicemente non la consente.
A ciò si aggiunga che interessi ed obbiettivi degli anziani sono opposti a quelli dei giovani. I primi tendono a privilegiare la conservazione dello status quo, i secondi ad innovare. Ma gli anziani votano.
Aggiungerei un ultimo aspetto, di cui ben raramente si parla, anche tra demografi.
Più l'età avanza e meno la persona risulta essere autosufficiente.
Il problema si sposta quindi da quello economico in senso stretto - avere i mezzi per sopravvivere - a quello di non riuscire a trovare il numero sufficiente di giovani che accudiscano materialmente gli anziani, rapporto che in via ottimale potrebbe essere stimato essere 1:5 al massimo.
Si prospetta quindi un nuovo elemento perturbante il sistema. L'allungamento della vita media presuppone la reale possibilità di essere accuditi e curati. In carenza di tale evenienza, diventa giocoforza assistere ad un ridimensionamento del tasso di invecchiamento, fino ad equilibrio raggiunto."


Cioè i vecchietti morirebbero per abbandono. Ma prima che questa situazione si verifichi, dovrà passare una generazione o due. E poi non è detto che le nuove generazioni abbiano sufficienti motivazioni per ricreare condizioni di crescita. Potrebbero accontentarsi di consumare le sostanze ereditate dagli antenati numerosi.

Temo che il problema della natalità sia duplice: sia culturale che economico.
Dal punto di vista culturale, oggi si tende ad avere meno figli rispetto a 30-50 anni fa (cioè 1-2 o più generazioni fa). La natalità molto alta dell'Italia contadina (ma di qualsiasi paese contadino o ex contadino) rappresentava però una crescita della popolazione relativamente modesta. 

Avevo fra i nonni, uno con 6 fratelli e sorelle e uno con forse 9 fratelli e sorelle. E così è stato per molte famiglie italiane nel corso del '900. Ma in realtà tale natalità esagerata era ben compensata dai decessi per guerre, incidenti e malattie, mortalità infantile ecc.
Alla fine la curva della crescita demografica in Italia prima del boom degli anni '60 non era così esaltante, malgrado famiglie così numerose che oggi sarebbero insostenibili.

Invece la crescita demografica degli anni 60' e 70' (sono anche io un baby boom...) non è dovuta tanto a motivazioni culturali. Le famiglie numerose c'erano anche in quegli anni, ma è proprio in quegli anni che gli italiani hanno iniziato un cambiamento culturale e sono diventati via via più "egoisti", preferendo avere al massimo 2 o 3 figli.
Le motivazioni di quel boom demografico sono piuttosto da ricercarsi in cause economiche e sociali. Per farla breve, perché ci sia crescita demografica, non basta essere propensi a fare molti figli, è necessario anche avere crescita economica, cioè lavoro. Si devono creare situazioni di stabilità lavorativa.

Tornando quindi al Giappone, e all'Italia che in alcune caratteristiche è una nazione molto simile, mi viene da pensare che la motivazione principale della scarsa natalità sia più economica che culturale. E' vero che i giovani italiani, e mi pare anche quelli giapponesi, non riescano ad abbandonare facilmente l'adolescenza. Si permane in una sorta di adolescenza prolungata che arriva ai limiti dei quarantanni in certi casi.

Ma credo che la motivazione principale della scarsa fertilità delle nostre popolazioni, sia dovuta alla difficoltà di creare un nucleo famigliare stabile. Sia che il lavoro sia disponibile, ma peggio ancora se manca, la strutturazione della società non rende facile ai giovani creare una nuova famiglia. E quando la famiglia si forma, si fanno due calcoli e ci si rende immediatamente conto che molto spesso mantenere più di due figli diventa impossibile.

In Italia ci sono ormai molte famiglie con un figlio (declino demografico), ancora abbastanza con due figli (stabilità demografica, ricambio) e pochissime con tre o più figli (crescita demografica). E le ragioni sono essenzialmente economiche. Credo valga lo stesso per il Giappone, malgrado la disoccupazione li sia minore senza dubbio. Ma anche in questi calcoli statistici, bisognerebbe far chiarezza: non è la stessa cosa essere impiegato all'Honda o il commesso in un supermercato in attesa di un lavoro migliore. Nel passato per i giovani giapponesi era abbastanza semplice diventare impiegati di una grande azienda manifatturiera, mentre oggi non è più così. E certi lavori non consentono di sostenere una famiglia numerosa.

Nel nostro paese la situazione è ancora più precaria. E' difficile far quadrare il bilancio famigliare avendo un solo figlio, per molti concittadini è assolutamente impensabile sostenere una famiglia numerosa. Oggi la crisi economica impedisce una soluzione alla crisi demografica e nello stesso tempo la recessione è in parte causata dal declino demografico.

Quando le cose andavano ancora bene, avremmo dovuto adottare per esempio le politiche sociali della Francia. In Italia ci siamo sempre riempiti la bocca della parola "famiglia", sopratutto in aree politiche cattoliche, ma poi vere politiche di sostegno alla famiglia non si sono mai fatte. Al contrario la più laica Francia ha sempre sostenuto la natalità, con incentivi fiscali molto consistenti alle famiglie numerose o addirittura con sostegni economici diretti a donne sole con figli. Probabilmente oggi con la crisi dell'eurozona, anche la Francia potrebbe avere dei ripensamenti in merito. Ma la strada giusta da seguire è questa, oltre quella del sostegno ad una immigrazione consapevole.

Senza stabilità nei contratti di lavoro sarà difficile in futuro avere una ripresa della natalità. Almeno in un futuro prossimo. Perché se si proseguisse per anni nel declino economico, anche popolazioni mediamente acculturate come quella nostra italiana, comincerebbe un inevitabile declino sociale: meno possibilità economiche, meno istruzione, meno consapevolezza e capacità di programmarsi il futuro. Torneremo perciò probabilmente ai valori culturali dell'epoca contadina. Si faranno più figli in modo inconsapevole, senza preoccuparci troppo del loro futuro e della loro sopravvivenza. Ma questa sarà una crescita demografica che non significherà anche crescita di ricchezza economica.

Ci sono delle dinamiche demografiche che difficilmente si possono governare per la sola via economica, se manca una forte guida polita. In effetti la crescita demografica dipende anche da condizioni economiche e sociali di contorno, ma la politica è determinate. 
Roma è un esempio rilevante di questi impetuosi movimenti demografici: nell'antichità aveva raggiunto un milione e mezzo di abitanti quando era caput mundi; nel corso di pochi secoli, in pieno medioevo senza una vera guida politica si era ridotta ad una cittadina di 50.000 abitanti; Poi con una crescita demografica altalenante sotto il papato ha raggiunto i 500.000 abitanti ritornando capitale d'Italia e politicamente rilevante, fino ai due milioni e mezzo di abitanti odierni. 

Demografia ed economia vanno a braccetto. La crescita economica è accompagnata da quella demografica, ma la sola crescita demografica di per se non significa anche crescita economica, se avviene in condizioni di povertà e di scarsa istruzione. Ma proprio la cultura e l'istruzione possono diventare un freno alla crescita demografica in una società complessa che ha determinate aspettative di benessere. In queste società la crescita demografica non può che essere accompagnata da certe sicurezze sociali che solo con un accordo politico si possono ottenere. 

E ci risiamo: senza un intervento diretto dello Stato, in campo economico e sociale, tutta la struttura complessa delle società occidentali, non sta in piedi. C'è poco da girarci attorno. Lasciare fare tutto al "mercato" crea solo degli squilibri sociali. Il declino demografico è uno degli effetti di queste politiche.
Abbiamo bisogno di keynesiani veri, non di croupier imprestati alla finanza!

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