martedì 25 settembre 2012

Terremoto e Fiat uguali




La ricostruzione ferma quattro mesi dopo
Centri storici chiusi, tendopoli e le difficoltà delle imprese

È uno dei problemi più gravi del dopo terremoto. La ricostruzione dei centri storici sfregiati dalle scosse del 20 e 29 maggio è il capitolo di un libro ancora tutto da scrivere e non c'è nemmeno un segnale che faccia sperare in un'accelerata. «Se andrà bene, ma proprio tanto bene, forse potremo parlare al passato fra cinque anni» azzarda il direttore della Confindustria di Modena Giovanni Messori. Ed è fra i più ottimisti.
 
Il fatto è che nessuno ha avuto ancora un solo centesimo. 
Nelle tendopoli il freddo si fa già sentire, soprattutto di notte. Nei dodici Comuni terremotati dell'Emilia ci sono ancora tendopoli aperte per 3.061 sfollati. Altri 88 sono ospiti in un residence e 1.467 vivono in alberghi. Le persone che aspettano il contributo per la sistemazione autonoma programmato dalla Protezione civile sono 39.327.
Dicono che non ci sono soldi e ci portano i piatti già pronti che costano meno. I moduli dove dovremo vivere arriveranno a fine dicembre. E comincia a far freddo».
Il sindaco di Novi, Luisa Turci, capisce che «la gente ha ragione, i soldi non sono arrivati». E spiega che «noi siamo i primi ad essere arrabbiati. Ci sarebbe da chiedersi come mai la Protezionecivile non ha dato denaro per finanziare le sistemazioni autonome. Lo sta anticipando la Regione... Capisco che nel comune sentire tutti pensino "se non mi danno nemmeno 500-600 euro come faccio a credere che arriveranno i soldi della ricostruzione?"».
Per quattro mesi la parola d'ordine è stata «arrangiarsi». Per tutti, commercio e aziende in testa.
Adesso si fa spazio la rabbia, c'è un problema nuovo ogni giorno e cresce la sensazione di essere indietro su tutto. Troppo indietro.
I negozi, per esempio. Non sono ancora pronti (se non in forma improvvisata) i centri commerciali temporanei da mettere in piedi con i container. Né si è visto un euro nemmeno in questo caso. Le promesse parlano di 15 mila euro di risarcimento per chi dovrà comprare un container e pagare gli oneri di urbanizzazione ma per ora i più se la cavano aprendo bottega in un garage, con una bancarella, magari in una cantina oppure online. «Stiamo lavorando con i soldi delle donazioni private» confessa Cristina Ferraguti, assessore alle Attività produttive di Cavezzo. «E per non farci mancare niente abbiamo anche una questione legale che blocca lo sgombero delle macerie dalla piazza centrale».
E poi, ultimo dei problemi in ordine di tempo, si è scoperto che buona parte dei tetti delle aziende danneggiate o crollate sono di Eternit. Dove, come e con quali finanziamenti smaltire quindi le fibre d'amianto cancerogene?”

A onor del vero tutto comincia, anzi la ricostruzione non è mai cominciata, con l’Aquila. Anche li dopo il terremoto avvenuto 3 anni fa, ad oggi la situazione non è ancora risolta, e ci vorrà ancora moltissimo tempo.
E’ la nuova situazione finanziaria italiana che impone l’inazione. Già con Tremonti, che oggi afferma che la gestione economica di Monti è sbagliata, i cordoni della borsa erano ben serrati.

Va detto che comunque all’Aquila, pur avendo il centro storico inagibile, un minimo è stato fatto e tentato. Sono stati costruiti edifici antisismici (forse) in fretta e furia, già arredati anche se non per tutti. Sono stati costruiti villaggi con prefabbricati in legno però più solidi e duraturi delle tende.
Con mille problemi, perché evidentemente vivere in un prefabbricato, non è una soluzione. Perché le nuove abitazioni sono state realizzate a casaccio nell’emergenza, senza un piano. Perché molti aquilani vivono ancora una vita provvisoria, e vorrebbero poter ritornare nella città.

Dal sito del Commissario per la Ricostruzione si evincono i numeri di questi interventi, aggiornati a fine maggio 2012:


Soluzione alloggiativa
Comune dell'Aquila
Altri Comuni del cratere
Progetto C.A.S.E. (1)
12.901
0
MAP (moduli abitativi provvisori)
2.785
4.399

Affitti fondo immobiliare
(+ accordo quadro con
Comune di Barete)
416
0

Affitti concordati con DPC
(affitto protezione civile)
538
285

Altre strutture comunali
0
63
Totale persone
16.640
4.747

Totale persone in soluzioni alloggiative a carico dello Stato
21.387


(1) Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili: 185 edifici (4.449 alloggi) realizzati su 19 aree del Comune dell’Aquila.

Dal punto di vista locale però questi numeri si traducono in una situazione piuttosto sconfortante:

“… vi parlerò de L’Aquila sotto un punto di vista relativamente critico dando visibilità a cosa (non) è cambiato in 3 anni.
Vi ricordate le transenne che si espandevano per gran parte del centro storico? Quelle ci sono ancora. Vi ricordate il deserto per le vie interne? Quello c’è ancora. Vi ricordate il silenzio? C’è ancora.
E gli sfollati che non ancora tornano nelle proprie case? Non ancora tornano nelle proprie case.
Sono 27mila le persone che, su 45mila sfollati, ancora non rientrano nelle rispettive abitazioni. Come scrive Repubblica.it «diecimila di queste vivono con un misero contributo mensile e si arrangiano da parenti e amici oppure pagano un affitto quasi da strozzo all’Aquila o altrove». Parte della popolazione vive nelle periferie: vicini e al tempo stesso lontani dalle proprie case.
Quasi 13mila cittadini si trovano nel Progetto C.A.S.E. (n.b.: C.A.S.E. non Case!), le 19 “new town” fatte costruire in tempi record da Berlusconi, costate 2.700 euro al mq. Sono dislocate su un asse lungo decine e decine di chilometri intorno all’Aquila e, anche per questo, non sono pochi i problemi ricaduti sul Comune per costi (dal trasporto pubblico alla nettezza urbana) e manutenzione. Una New Town è stata costruita nei pressi di Assergi, nel cuore del Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga, ad un passo dalla funivia per Campo Imperatore e ad una ventina di chilometri dal capoluogo. Nelle new town mancano i servizi – chi vi abita le definisce “quartieri dormitorio” – e per fare la spesa gli abitanti sono costretti a prendere l’automobile (da Assergi imboccano addirittura l’autostrada).
Ad oggi restano ancora da rimuovere il 95% delle macerie generate dal crollo degli edifici,
I lavori di ristrutturazione sono cominciati solo in alcune periferie o nelle campagne, dove si è peraltro costruito ad alto impatto ambientale, modificando la tipicità e i colori dell’abitato, dando un altro colpo alla vocazione turistica del territorio. Si è inoltre lavorato disordinatamente e perfino ignorando prescrizioni antisismiche.
Dove si poteva intervenire già da subito, accelerando il processo di recupero degli edifici, si è preferito attendere l’approvazione del piano di ricostruzione recentemente approvato dal Comune. Il nuovo documento sancisce il principio del “Com’era, dov’era”, anche se spesso i costi per riportare gli edifici allo stato precedente al sisma sono, soprattutto per il centro storico, superiori alle risorse effettivamente messe a disposizione.»
Inoltre “Sono stati buttati via 40 milioni di in tre anni per pagare le spese di emergenza causate dalla mancanza di ricostruzione delle aree periferiche della città“, così si sfogò il sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente.
Secondo dati della locale Confartigianato sono 500 le attività commerciali e artigianali (soprattutto del centro storico dell’Aquila) che non sono ancora riuscite a ricollocarsi e 1.500 le attività a rischio chiusura in tutto il cratere sismico. Sono riuscite a ricollocarsi circa ottomila imprese.
I fondi raccolti per L’Aquila con la canzone Domani, più di 1 milione di euro, a tre anni dal terremoto sono ancora inutilizzati.
Nel maggio 2009 la Fiat donò alla Protezione Civile 6 mezzi, tra escavatori e minipale del valore di 860 mila euro … Fino ad oggi i mezzi non sono mai arrivati nella città fantasma nè tantomeno utilizzati!”
(www.rosatiluca.it- post del 5 aprile 2012, ma credo che ad oggi non sia cambiato molto)

Come si può leggere, ordinarie storie di sprechi, lavori insufficienti e fatti male, promesse non rispettate ecc. nella tipica conduzione amministrativa all’italiana. La burocrazia, è un mostro che non si ferma davanti a nulla. Nemmeno al dolore e alla distruzione, rallenta o blocca ogni cosa. Il centro dell’Aquila non sarà ricostruito senza un piano di recupero, la cui attuazione è molto lenta, e probabilmente in parte irrealizzabile.

Eppure, gli abruzzesi possono dirsi ancora fortunati, rispetto agli emiliani. Perché il terremoto dell’Aquila è avvenuto prima della crisi dello spread, e prima di Monti.
Berlusconi e Tremonti potevano ancora, anche se effettivamente per i vincoli europei non avrebbero dovuto, spendere a deficit. Seppure con mille vincoli burocratici, seppure fra mille critiche, infatti spesero. Spesero anche male, ma avevano ancora la possibilità (o meglio volontà) di farlo.

Monti non può e non vuole. Il suo scopo è il pareggio di bilancio, i suoi obiettivi sono quelli del fiscal compact: deficit sotto il 3% e rapporto debito pil al 60%. Tutti gli ostacoli che si frappongono agli obiettivi vengono aggirati o ignorati.

Per questo per i terremotati dell’Emilia non è ancora arrivato un euro, e dubito che arriverà da questo governo quel poco che è giunto per il terremoto dell’Aquila. L’ex premier non si sottrasse agli impegni, anche se poi riuscì a mantenere solo parte delle promesse. 
L’attuale premier invece fu alquanto “infastidito” dal terremoto in Emilia, e giunse a visitare i territori su pressione dell’opinione pubblica. Il governo aveva appena approvato norme stringenti sulla protezione civile e la gestione dei disastri naturali, alcuni giorni prima del 20 maggio 2012:

“Questo terremoto pone anche un problema politico, ben prima di quel che si sarebbe immaginato Monti. Tutto congiura contro le scelte di questo governo, non solo l'economia anche la natura:

"decreto legge n.59 sulla riforma della Protezione Civile.
 ...
Ne avevamo già dato l’annuncio, ora è ufficiale, tanto da essere uscito sulla Gazzetta Ufficiale. «La calamità naturale sarà a carico del cittadino. In caso di terremoto, alluvione, tsunami e qualsivoglia altra catastrofe, non sarà più lo Stato a pagare i danni. A ricostruire l’edificio crollato o pieno di crepe, casa o azienda che sia, dovrà provvedere il proprietario. A sue spese. O stipulando, previdente, una relativa polizza di assicurazione.
La novità, enunciata chiaramente, si trova nel decreto legge n.59 sulla riforma della Protezione Civile pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale. In cui si afferma che «al fine di consentire l’avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati a qualunque uso destinati, possono essere estese tutte le polizze assicurative contro qualsiasi tipo di fabbricato appartenente a privati». E questo per poter «garantire adeguati, tempestivi ed uniformi livelli di soddisfacimento delle esigenze di riparazione e ricostruzione». Cosa che lo Stato non può più permettersi per cronica carenza di fondi»."
E’ precisa volontà del governo non intervenire più con aiuti statali nell’economia italiana. In nessun caso, ne a seguito di eventi catastrofici, ne per mitigare gli effetti della crisi. Per questo motivo la risposta ricevuta da Marchionne è valida anche per i terremotati. Per la Fiat non sono previsti incentivi, si deve affidare al mercato e basta. Per i terremotati non arriveranno aiuti (perlomeno non come in passato), dovranno arrangiarsi.

E’ incredibile la miopia economica di questo governo, la follia lucida nel perseguire un piano che sta distruggendo l’Italia. Oltretutto riconoscerlo (la ha detto Monti stesso che le sue politiche sono recessive), ma perseverare ugualmente nell'errore. Non ricostruire significa rinunciare ad una parte importante di crescita del Pil nazionale. E se non si ricostruisce in fretta, questi territori non potranno contribuire alla crescita economica del paese per molto tempo.

E’ più che probabile, a questo punto, che il piano intravisto e denunciato da Grillo, sia effettivamente vero. Un premier che voglia un minimo difendere gli interessi del suo paese, non perseguirebbe una politica economica così assurda, che sta distruggendo la nostra economia, e probabilmente anche controproducente ai fini del piano stesso.
Quando non ci saranno più risorse da tassare, espropriare e svendere, non si potranno perseguire gli obiettivi di pareggio di bilancio e abbattimento del debito. A meno che il passo successivo non sia lo smantellamento ancor più deciso dello Stato, con l’espulsione di migliaia di dipendenti e la riduzione dei suoi organi burocratici ai minimi termini. Che Dio ce ne scampi da un Monti bis...

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