venerdì 9 novembre 2012

Verso il caos per calcoli sbagliati



Si va verso il baratro, come quello che attende gli Stati Uniti a scadenza (fiscal clift), ma con la differenza che del nostro non si avvertono i confini, immersi come siamo in una fitta nebbia depistante.

Allora ricapitoliamo. C’era una volta un Cavaliere, che ne faceva di cotte e di crude, e soprattutto faceva di testaccia sua, senza alcun rispetto verso le vere “nobiltà” d’Europa.
Per questo, le nostrane “Marie Antoniette” dalla brioche facile, si sono alleate con quelle europee per far fuori il sultano pazzo, dalle mille ville e cento notti infuocate.

Il piano, calato dall’alto dei pulpiti europei, era quello di modificare radicalmente con un colpo di mano, l’amministrazione della cosa pubblica italiana. Non solo cacciare il Cavaliere cialtrone, ma anche mettere la sordina al teatrino politico incapace di generare una guida di governo ben salda, e ben diretta su solide basi mitteleuropee.
Per cambiare direzione, ed indicare agli italiani il modo, e la natura che avrebbero dovuto avere i politici della nuova guida illuminata, è stato chiamato al governo un campione dell’establishment economico internazionale: in questo modo, si pensava, gli italiani vedendo in questi accrescere un certo prestigio internazionale, avranno un modello a cui riferirsi in futuro. Un modello agli antipodi del Cavaliere irrefrenabile.

Le cose sono andate secondo i piani, ma solo fino ad un certo punto. Ora si profila la possibilità abbastanza certa che fallisca, e lasci al posto il nulla, un cumulo di macerie.
Il Cavaliere è stato cacciato: primo punto del piano eseguito. La partitocrazia italiana è stata abbondantemente delegittimata, in due modi: rendendola inutile in Parlamento, e colpendola con ogni sorta di inchieste giudiziarie e giornalistiche.

Anche chi credeva di aver vinto la partita, ora capisce di essere stato solo una pedina nelle mani di chi, dall’esterno e dall’interno, ha pianificato il cambio di paradigma politico:

“Tanto lodò che piovve. La disgraziata scelta del Pd di appiattirsi su Napolitano e Monti non ha pagato, anzi è stata una trappola: il gatto e la volpe dell’allevamento Merkel non hanno nessuna intenzione di rischiare che il centro sinistra arricchito da pericolosi bolscevichi come Vendola, sia l’unico a governare. 
Con un effetto alla Feydeau, degna della miglior commedia degli equivoci recitata dentro un pantano professoral-politico: Bersani che aveva iniziato la sua opera di segretario con l’intenzione di cacciar via Berlusconi, adesso si trova a dover sperare proprio nell’aiuto del Cavaliere o meglio di gran parte della sua truppaglia che chiede a gran voce di tenersi il porcellum per evitare il voto di preferenza. Uno spettacolo che nemmeno la mastercard potrebbe offrire. E che sembra calzare come un guanto a chi ha esultato per lo stop della corte costituzionale al referendum per tornare al vecchio sistema elettorale. Quante ne dissero i tromboni di partito contro i rompiscatole dei cittadini che volevano metter becco nella politica.
E adesso questi strateghi appaiono credibili come Antonio Banderas nelle vesti di biscottaio. Del resto se uno crede nella ripresa di Monti non ha che da attaccarsi alla ruota del mulino bianco.”

Secondo punto del piano attuato.

Purtroppo, o forse meglio per noi, come avviene spesso per i piani calati dall’alto, e non discussi democraticamente e partecipati dalle masse popolari, il terzo punto del piano sta fallendo. La nuova specie di politica e di politici che si voleva imporre agli italiani, non funziona.

“Le cose non stanno andando affatto bene.
Avremo pure ristabilito la credibilità del paese nell’arena internazionale, avremo fermato temporaneamente la fuga dai nostri titoli di Stato (a prezzo di costringere le banche italiane a comprare tutto ciò che gli investitori esteri hanno venduto) ma l’economia non mostra alcun segno di ripresa e la luce in fondo al tunnel che Monti e Grilli ci descrivono -senza darci effettive giustificazioni- a gran parte degli osservatori appare più un miraggio che realtà
Che la ripresa possa ripartire nella seconda parte dell’anno lo dice il governo, lo auspica il Centro Studi di Confindustria ma nessuno ha grandi certezze visto che non sono stati promossi veri provvedimenti di stimolo alla crescita economica.
Il bilancio delle riforme è povero:
non abbiamo ridotto i costi della politica, non abbiamo trovato risparmi nei sussidi che lo Stato da al sistema imprese (pubbliche) -Giavazzi ha ottenuto solo 500 milioni su 30 miliardi a quanto ci dicono-, non abbiamo privatizzato nulla, abbiamo liberalizzato pochissimo, non abbiamo riformato la burocrazia statale, né il sistema della giustizia, non abbiamo alleggerito la pressione fiscale delle imprese.
E sul fronte finanziario anche peggio: non sono stati sbloccati i 90 miliardi di crediti arretrati, non è stato creato alcun meccanismo di contenimento della stretta creditizia operata dalle banche, i tassi bancari sono quasi raddoppiati e uccidono i conti economici delle imprese, i pagamenti della PA passeranno a 30-60 giorni da gennaio ma, a quanto sembra, con l’esclusione dei pagamenti alle società edili.
Le imprese che si prevede chiudano il bilancio con perdite nel 2012 sono salite dal 23% al 30%.
Anche le nostre banche annaspano sotto montagne di crediti non performing (cresciuti ancora del 15% in settembre) che sono l’effetto della crisi economica, della stretta creditizia, della mancanza di liquidità.”

Malgrado le cose siano piuttosto evidenti, la nuova politica economica, è ancora abbastanza popolare, anche se l’apprezzamento pubblico del governo è in costante declino. Ma rimane alto proprio in virtù degli accorgimenti messi in atto con il piano. La stampa e i media catodici, a cominciare dai paladini del “Fate presto”, è stata utilizzata per propagandare con sperticate lodi la nuova politica. Ed ancora oggi cerca di mitigare e nascondere il disastro a cui sta portando la nazione, il nuovo corso economico-politico.

Ma è ovvio che non può durare a lungo, prima o poi la gente si sfilerà gli occhiali con le lenti rosa, e sarà obbligata a vedere la realtà nei suoi crudi colori. Questo sfaldamento si sta già osservando, con il fenomeno elettorale grillino e la pesante astensione.
Agli italiani, è stato mostrato quanto fosse brutta la vecchia politica, e quanto fosse bello avere maggiore credibilità internazionale. A nessuno sono stati però spiegati i costi dell’operazione. Ora il conto è in arrivo, ed è bello salato. Lasciare un Cavaliere pazzo, e una sommatoria di partiti inconcludenti, per prenderci un piccolo emulo della Merkel, secondo il prof. Borghi ci è già costato la bellezza di 50 miliardi (www.ilsussidiario.net). E solo in Pil perso, poi ci sono svariati miliardi di tasse in più.

Risultato finale? Ci ritroveremo con un immenso cumulo di macerie politiche, senza un’alternativa efficace e condivisa. I partiti della prima e seconda repubblica non li vuole più nessuno, e la nuova politica dell’austerità è un fallimento che presto dovrà essere archiviato. Se va bene, altrimenti verrà condannata dai patiboli sulle pubbliche piazze. In Grecia manca poco ormai che le molotov le tirino dentro il Parlamento, invece che nella piazza antistante.

Cosa si salva? Evidentemente si salva il movimentismo alla Grillo, a cui in molti ormai si attaccano come un salvagente (persino Feltri…). Ma con tutta la simpatia che genera questa nuova politica, è anche chiarissimo che se un partito così diventa il terzo, o il secondo, o a volte il primo, c’è qualcosa che non funziona. Non è normale che la gente preferisca affidarsi ad un comico, piuttosto che a seri politici ed economisti. Più che la medicina, il grillismo è un sintomo. Se la politica ufficiale, invece di delegare alla Merkel e ai suoi incaricati la guida del paese, si fosse presa le sue responsabilità, oggi l’M5s non avrebbe tutto questo successo.

Spesso fatico a comprendere quello che è accaduto e mi sorprendo. Posso capire che il Cavaliere, con i suoi rilevanti interessi economici fosse ricattabile, ma perché l’ex opposizione si è arresa così facilmente alle richieste della Bce? Votando oltretutto a testa bassa, tutti quei provvedimenti che osteggiava quando li proponeva il centrodestra, e oltretutto molto più blandi.
Ma anche guardando in casa di quest’ultimi, come è possibile che tutto il partito si sia arreso così velocemente di fronte alle pretese della Bce? Il Cavaliere non era sostituibile proprio da nessun altro?

Ora però i fautori del piano, pur constatandone il fallimento, cercano di portarlo avanti e correggerlo per mantenerlo in vita. Anche utilizzando il sistema elettorale, e facendo leva sul disfacimento politico generale. Si cerca quindi di modificare la presente legge elettorale, che potrebbe far vincere il temuto partito dell’antipolitica.

A dirla tutta, l’attuale sistema elettorale, non è dei più democratici. Dare un premio di maggioranza, per dare governabilità, ha un senso nel caso di un bipartitismo, con due partiti/coalizioni molto forti (com’era prima), e tante piccole formazioni di disturbo.
Ma cambiando la distribuzione dei voti, sarebbe assurdo e non molto democratico dare la maggioranza al più grande dei partiti/coalizione che raggiungesse il 25-30%, come potrebbe accadere ora. Forse sarebbe più democratico un proporzionale puro, magari con soglia di sbarramento per formazioni microscopiche.

Certo ne va della governabilità, e le coalizioni dovrebbero contrattare governo e maggioranze in Parlamento, come avveniva più di 20 anni fa. E’ più democratico, ma non è detto sia più funzionale:

“C’è una ovvia conseguenza che deriva dal blitz in commissione affari costituzionali fatta da PDL-LEGA-UDC (+frattaglie), mi riferisco allo schema di nuova legge elettorale che non consente alla coalizione vincente di governare da sola a meno che non prenda il 42,5% dei voti.
Si da il caso che, M5s permettendo, la coalizione vincente parrebbe essere quella capeggiata dal PD, probabilmente PD+SEL+PSI e altre minuzie (si, mi spiace, per me Renzi perde).
Se la “porcatona democristiana” arrivasse alle camere per il voto a quel punto o il PD è in malafede (e dunque gli va benissimo di non governare) oppure DEVE fare cadere il governo alla prima occasione utile. Cioè al primo voto di fiducia disponibile alla camera.
E’ vero che il PD da solo non avrebbe i numeri per fare cadere Monti, ma è anche vero che il parlamento italiano è allo sbando e dunque è facile che molti esimi nominati non si trovino in aula al momento fatidico.
E ora vorrei chiedervi un parere su queste parole dell’On Casini:
“E’ lunare, si e’ discusso per 4 o 5 mesi, proprio con il Pd, dell’ipotesi di un premio di maggioranza al partito di maggioranza relativa e di un tetto, che la Corte Costituzionaleha chiesto. Il problema ora e’ quello che si vuole: il 55% dei seggi con il 30%? Chi lo vuole alzi la mano, io no“.
Dico la mia: io si, io voglio che la coalizione con un voto in più rispetto alla seconda abbia il 55% dei seggi anche avesse meno del 30% dei voti. La frammentazione politica è un gravissimo problema che va risolto espellendo dal potere o costringendo ad aggregazioni le forze minori, specie quelle che vorrebbero governare con il 6% scarso dei voti come l’UDC. 
Così vince il PD? Bene che vinca e governi, ma per l’amor di DIO che non torni mai più la prima repubblica.”

In ogni caso, se il piano messo in atto aveva lo scopo di semplificare e migliorare la situazione economica e politica dell’Italia, sta avendo l’effetto esattamente opposto. In pratica, in un anno scarso, il nuovo corso politico, è riuscito a distruggere quel poco di stabilità, con mille difetti, che era stato costruito in 20 anni. Senza dare in cambio un modello condiviso e funzionante. In campo economico, le ricette di austerità ci stanno portando al default più velocemente di prima. Bel risultato.

Probabilmente, la nuova politica arriverà, ma non quella voluta negli uffici dei grattacieli delle banche e lobby europee, ma quella che si affermerà dal basso. Che darà voce ai cittadini, che provocherà il definitivo collasso della partitocrazia e del sistema di potere economico che la sostiene o la vuole sostituire.

Nessun commento:

Posta un commento