mercoledì 23 novembre 2011

Nuova frontiera




Sono tempi tristi e cupi quelli che stiamo vivendo, un periodo storico in cui non si intravvede un futuro migliore e salvifico. Penso che non sia mai accaduto nella storia dell’uomo (a meno che non siano esistite ere atlantidee e lemuriane…) in cui si avverte un senso così pesante di mancanza di avvenire.

E non è solo un sentimento italiano, o europeo. Persino gli americani dipinti spesso come persone scioccamente ottimiste, hanno perso la via dello spirito pionieristico, della conquista di sempre nuove frontiere.

E’ un sentimento che attanaglia soprattutto i popoli dell’”occidente”, ma anche di riflesso le nazioni più mature nell’ambito capitalistico come il Giappone. Queste nazioni sono affette da eccessivo debito pubblico che non consente loro di utilizzare incentivi statali per consolidare la crescita. Le nazioni emergenti, i così detti Brics, hanno una dinamica migliore, ma essendo fortemente connessi con il vecchio “primo mondo”, di riflesso risentiranno della crisi da li proveniente. Basta vedere cosa sta succedendo alla Cina: il suo motore si sta ingolfando, perché le sue merci non riescono più ad essere assorbite dall’occidente.

Ma secondo me, il debito non è l’unico problema. Il vero problema è la crescita. Ma non quella che intendono oggi gli industriali, cioè un intervento dello Stato per agevolare, finanziare, detassare, ecc. La crescita quella vera, quella generata dalla produzione di beni e servizi che prima non c’erano: quando si sono espanse le città, sono stati costruiti milioni di alloggi; quando pochi avevano un’auto, un frigorifero, una lavatrice e sono state riempite tante caselle vuote.

La crescita si genera sui vuoti da colmare, non sui beni invecchiati da sostituire, come avviene oggi. Anche nei periodi più favorevoli, in Italia, la crescita del Pil è stata lenta e modesta. E’ andata meglio in altre nazioni, perché hanno costi di materie prime inferiori e una normazione più semplice ed efficiente.
Il fatto che la crescita si genera sui vuoti da riempire, mi è apparso evidente quando i recenti dati delle vendite Usa sono apparse migliori a causa della vendita massiccia dell’ultimo cellulare della Apple: l’appetito di beni nuovi crea la crescita.

Negli Stati Uniti, negli ultimi vent’anni è stato fatto un grande esperimento sociale, che purtroppo è fallito e ne pagheremo tutti le conseguenze. Si è utilizzata una massiccia dose di credito per incentivare a consumare beni di cui pochi avrebbero avuto bisogno, come volano per la crescita economica. Ma questa non è vera crescita, è solo una crescita fittizia.

L’idea non era cattiva, le conseguenze si. L’idea di base era creare un sistema di debito/credito privato in grado di auto sostenersi per spingere l’economia a mille. Utilizzando una matematica finanziaria “raffinatissima” sembrava possibile creare questo miracolo, senza dover gravare sulle finanze pubbliche come fece Roosevelt con il “new deal”.
Lo Stato federale Usa era cosciente del problema del proprio debito già molto alto, dovuto soprattutto alla costosa macchina militare-aerospaziale.
Ma purtroppo, come in una “catena di Sant’Antonio” o in un multilevel banalissimo, il giocattolo si è rotto velocemente. Milioni di dollari di debiti privati sono stati o assorbiti dal debito pubblico, o parcheggiati nelle banche in misteriosi titoli dormienti. Alla fine, non solo quello che si voleva evitare, cioè utilizzare il debito pubblico, è avvenuto, ma il meccanismo ingenerato ha raggiunto un peso finanziario insostenibile, che sta generando lo strangolamento dell’economia mondiale.

Dicono che noi latini siamo più orientati alle furberie che al faticoso e sano lavoro. In questi anni si è dimostrato che tutto il mondo è paese: anche gli anglosassoni cercano le scorciatoie piuttosto che le virtù. Lo si è visto dalla fine degli anni ’80 negli Stati Uniti che sono passati da una “bolla” a una mega truffa con una continuità e ostinazione disarmante.

La verità è che l’occidente non riesce più a trovare una missione, un obiettivo, una nuova frontiera da raggiungere. Gli Usa, il centro di questo ipotetico impero, sono in declino. Sono come i Romani un secolo prima della disfatta del loro impero: esercito potente ed economia devastata e paralizzata.

Solo che dopo i Romani sono arrivate nuove civiltà, forti, sane e completamente indipendenti da quella greco-romana. Inoltre Roma rappresentava una piccola porzione del mondo, in altri luoghi avvenivano vicende storiche completamente indipendenti.

Oggi se muore la civiltà portante di questo pianeta, non esiste un altro luogo, e altre civiltà nuove e forti, completamente indipendenti, capaci di generare nuove opportunità.
Ci vorrebbe un nuovo pianeta da colonizzare, dove scatenare i nostri istinti di conquista ed impresa. Ma un evento del genere rimane lontanissimo, non abbiamo nessuna possibilità attualmente o in un futuro prossimo, di evadere da questa prigione. Perché tale diventerà sempre più la nostra Terra: sempre meno spazio vitale, sempre meno risorse, sempre più degrado dell’ambiente.

Probabilmente in una situazione di questo tipo protratta a lungo, la popolazione mondiale potrebbe anche ridursi. E’ vero che attualmente la popolazione mondiale è valutata in sette miliardi (http://www.worldometers.info/it/) e la proiezione indica che ci si sta avviando ai nove. Ma se per mancanza di risorse certe, la media di nuovi nati per coppia si riducesse sotto le 2 unità (rappresentanti il ricambio dei genitori), in poco tempo il trend si potrebbe invertire e la popolazione diminuire velocemente: si può arrivare al dimezzamento della popolazione in un secolo.

Questa ipotesi può apparire remota, ma è un equilibrio demografico che avviene normalmente nel mondo animale in un ambiente confinato, per esempio in un’isola. Basti pensare alle improvvise esplosioni demografiche o quasi estinzioni di animali che si sono avute nel secolo passato in Australia, anche se provocate da comportamenti incauti dell’uomo.
E la nostra Terra sta sempre più diventando per noi umani, un ambiente confinato, un’isola sospesa nello spazio.

La diminuzione di popolazione umana potrebbe essere un bel vantaggio per la natura selvaggia, ma per l’impostazione della nostra società rappresenterebbe una crisi da cui non si uscirebbe facilmente.
Al momento credo che non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno, ma poco ci manca: per qualche decennio si dovranno ancora riempire le pance affamate, e le case vuote di cinesi, indiani, sudamericani e pochi altri. Ma quando anche questi spazi vuoti saranno colmati, si comincerà a scendere la china.

Spero che nel prossimo secolo si possa progredire verso una tecnologia che ci consenta di allargare i nostri orizzonti oltre quelli che diventano ogni giorno più claustrofobici. Ma in realtà quello che temo è che ci si sta avviando verso un’era di declino, perché mancheranno sempre più risorse per ricercare ed innovare. Del resto la legge di Elliot predice, che per ogni trend di sviluppo si compiono due passi avanti e uno indietro, pertanto le recessioni, anche quelle mondiali, sono nell’ordine naturale delle cose.

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